01 gennaio 2010

Libra


Percepisco un crescente e preoccupante senso di controtendenza interiore, una sorta di reazione equilibrante col mondo esterno. C'è qualcosa che trascina nella direzione di inevitabili e perenni insoddisfazioni, in un intimo desiderio di stabilità universale. Le tregue vissute non sono che pause fra l'una e l'altra opposta esigenza, così come l'alba e il tramonto lo sono fra il giorno e la notte. Di queste e molte altre cose parlavo col maestro mio, ma di pochissime io potrò dire, giacché il tempo non è compiuto e le coscienze non sono ancora pronte.

(Guglielmo de Faliceto, manoscritto)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Chissà se il maestro in questione è il dottor Kolarov e se le conversazioni si tenevano all'ombra della quercia madre, perché se così fosse credo di conoscere un altro suo discepolo, probabilmente collega del Guglielmo de Faliceto - o di qualche suo personaggio di fantasia. Ma poco importa di certi dettagli. Mi è stato riferito che si parlava di questioni apparentemente semplici ma impegnative. Si parlava di percezioni, più precisamente della percezione della realtà. "L'uomo può percepire la realtà, non la realtà della realtà" (è l'unica cosa che ricordo).

A proposito di quanto hai scritto - nella fattispecie - un giorno non troppo lontano ero ai margini di una piazza e osservavo certa gente lanciare bottiglie e divertirsi per tutti quei vetri rotti che facevano rumore e luccicavano. Io mi stupivo e mi dissociavo dal fatto. E meditavo su quello che ritenevo giusto e su quello che ritenevo sbagliato, e sul fatto che molto probabilmente, nonostante tutto, mio malgrado, un giorno lancerò bottiglie in piena piazza per cercare di godere (e forse godrò) del rumore dei vetri rotti e del loro luccichìo.

rossibenedetto

Bongio ha detto...

Eh, purtroppo il manoscritto non diceva nulla riguardo al maestro, ma sono convinto che fosse uno che la sapesse lunga. Credo che sia un po' dell'animo umano respingere d'istinto quello che non si conosce. Probabilmente è una sorta di autodifesa naturale. Chissà, forse chi quella volta godeva di tutte le bottiglie rotte prima sarebbe stato a guardare e dissentire.

Secondo me però nelle intenzioni del buon Guglielmo c'era anche dell'altro. Il fatto ad esempio di non esaltarsi alle prime avvisaglie di una buona notizia, ma conservare la felicità per quando arriverà l'inverno dello spirito. Opporre una sorta di resistenza, insomma, alla gioia, per costringerla, incanalarla verso il magazzino. Lo stesso dicasi per i periodi brutti, quando le scorte saranno finalmente utili e la tristezza sarà bilanciata. Ci vedo un poco di buddismo, in tutto questo.

avvelenato ha detto...

C'era qualcuno che coltivava in silenzio l'orribile varietà delle proprie superbie, si diceva. Personalmente, per quanto per certi versi questo post possa essere triste o melanconico, credo che allora potrebbe anche andare peggio.

Comunque ho appena mangiato cospicue dosi di zabajone, pur non avendo una donna da trombare nottetempo. Per altro detto zabajone conteneva a sua volta cospicue dosi di alcol, che poi sarebbe un po' anche veleno, via.

Insomma, per farla breve go on. E basta così.

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