Latte e banana

Vi siete mai chiesti perché da bambini vi dicono di star seduti appena dopo il pasto? Di evitare di correre, saltar la corda, fare capriole o calciare il pallone? Beh, io credo di averlo capito. Stamattina, dopo quasi ventotto anni. C'ho messo un po', ma di una cosa son certo: i vecchi una volta tanto avevano ragione.

Questa mattina, mentre mi vestivo dopo una frettolosa colazione di latte e banana, m'è scappato l'occhio sull'orologio. Avete presente quando siete nei bagni della stazione e dovete finirla alla veloce perché vi manca il fiato? Quello. Quello ero io mentre mi vestivo. Uno psicolabile in cerca dei suoi perché, una mietirebbia che sparava lontano quel che tocca (io toccavo vestiti). Ci ho messo due minuti netti, meglio di Fantozzi. Solo che io un autobus da prendere non ce l'avevo, ma un garage a duecento metri da casa, sì. Metri percorsi di fretta, e al freddo.

Ora, non ho idea di che razza di congegno stia sotto all'apparato digestivo. Sta di fatto che, qualunque cosa sia, non ha gradito la mossa. Più camminavo più doleva, più doleva più rallentavo. Con conseguente perdita di tempo e ritardo accumulato. Così ho iniziato a pensare a quei poveri enzimi, costretti a lavorare in tutto quello sconquassamento. A quelli che avrebbero dovuto spingere i vagoncini contenenti la banana, ora intenti a raccattane il contenuto mischiato al latte (versato). O a quelli addetti all'idrante dei succhi gastrici, impegnati ad inseguirlo mentre lui sprizzando all'impazzata corrodeva le pareti dello stomaco. Agli enzimi-operai che rimontavano i nastri trasportatori e a quelli sbalzati nell'abisso oscuro dell'intestino, perduti per sempre e pianti dai colleghi.

Credo che ci siano un sacco di brutti mestieri al mondo. Certo non mi vanto di averne uno che possa regalarmi fama e gloria, ricchezza o goduria. Sarei un pazzo (o un nerd) se pensassi il contrario. Ma vista la crisi che tira e la vita che fa un povero enzima, quasi quasi me lo tengo ancora per un po'. Un po' come questo mal di pancia... ahi!