17 settembre 2009

La tua ultima canzone per l'estate



Credo di essere il socio di maggioranza della mia vita. Conosco il mio passato e il mio presente, sempre che conti qualcosa. Ipotizzo su un futuro inesistente mentre pagine stanche mi trascinano nell'incanto di una fine estate. Sera di brezza dalla finestra, di ricordi e riflessioni, sera di malinconia di una stagione che non voglio lasciar fuggire. Sera come tante, come quelle che ti visitano in primavera quando sei sul letto e ti godi gli ultimi echi dell'inverno. Di quelle che ti fanno sperare, che ti fan dire che sì, ancora un po' e ritorneranno le maniche corte e tu tornerai al mare. Sera col dolce dei tigli sulle labbra, che ti vien voglia di baciarla tanto è bella. Sera diversa e così maledettamente uguale a questa.

Davanti c'è l'inverno col buio e il freddo, i raffreddori e i dottori. L'inverno che non è più inverno se non c'è la neve. L'inverno che scoraggia e deprime, che invoglia a stringersi vicini, quasi bastasse quello per riscaldarsi. Ecco, Giorgio. Ecco che fa il futuro. Il futuro distrae, rallegra o rattrista. E io non voglio, non voglio, non voglio esser migliore o peggiore. Voglio solo essere quel che sono, solamente me stesso. No, destino: credo che se ci fosse la possibilità sceglierò di non conoscerti, ti volterò le spalle. Senza rancore.

3 commenti:

rossibenedetto ha detto...

A quel "futuro distrae" ci voglio bene... ("Mentre il passato insegna, il futuro distrae")

Vedo che in quest'ultimo periodo te ne bolle di roba in pentola, sarà il cambio di stagione? o forse il binomio De André-De Gregori a stimolarti?

Eh... "La tua ultima canzone per l'estate"... non una ma ben due versioni d'autore, quella gregoriana e quella deandreiana. Io preferisco la prima, ma non vorrei aprire un dibattito su questo.

Beh, io l'inverno lo aspetto, non lo cambierei con l'estate. Lo trovo rivoluzionario, una stagione che ci fa bene.

Questo tuo imbottito post sul tempo mi rafforza la sensazione che tra echi e frastuoni del passato, il silenzio assordante del futuro sovrasta l'incedere chiassoso del presente.

Bongio ha detto...

No, Benni... scusa, cavolo! Se ti dico che davvero davvero non l'ho fatto apposta, mi credi? L'altro giorno mi sveglio e mi dico: cavolo, ma il futuro altera, distrae. E l'ho scritto. Non è che ora mi denunci per questioni di copyright, vero? Facciamo così, potremo dire che oltre a De Andrè e De Gregori, nella biografia di questo post ci finiscono anche Ronedesso Betti, Eugenio Penna, Benedetto Rossi e Gian Gianni Rossi. Dovrebbe bastare, spero. Gran cosa quella del futuro che sovrasta il presente. Mi ricorda l'acqua delle cascate: traboccando di continuo, di continuo scavalca sè stessa. (Comunque, dibattito o no, per me non c'è confronto: con tutto il bene che voglio a De Gregori, la versione di De Andrè è dieci spanne sopra).

Avvelenato ha detto...

Se non fossi uno dei più convinti relativisti del pianeta crederei quasi offensiva l'opportunità stessa del dibattito circa la versione migliore di quella canzone...:-)

A me l'inverno piace da uno a dieci almeno tredici. Dico sul serio: vabbeh, si rischia sempre di morire sulle strade, qui al paesello di vetro, ma vogliamo mettere? E poi ci sarà cosa più bella, in tutta la vita, del fresco? Non sarà una goduria infinita poter tornare finalmente sotto le coperte?

A parte questo: conoscere in anticipo il nostro destino potrebbe convincerci a lasciare andare la barca nei pali. In senso assoluto sarebbe tremendo: ma mi leverebbe un sacco di approssimazione e precarietà. E allora ci devo pensare, non so.

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